The Crab and the Monkey
(MP3-06'20'')
There was once a crab who lived in a hole on the shady side of a mountain. She was a very good housewife, and so careful and industrious that there was no creature in the whole country whose hole was so neat and clean as hers, and she took great pride in it.
One day she saw lying near the mouth of her hole a handful of cooked rice which some pilgrim must have let fall when he was stopping to eat his dinner. Delighted at this discovery, she hastened to the spot, and was carrying the rice back to her hole when a monkey, who lived in some trees near by, came down to see what the crab was doing. His eyes shone at the sight of the rice, for it was his favourite food, and like the sly fellow he was, he proposed a bargain to the crab. She was to give him half the rice in exchange for the kernel of a sweet red kaki fruit which he had just eaten. He half expected that the crab would laugh in his face at this impudent proposal, but instead of doing so she only looked at him for a moment with her head on one side and then said that she would agree to the exchange. So the monkey went off with his rice, and the crab returned to her hole with the kernel.
For some time the crab saw no more of the monkey, who had gone to pay a visit on the sunny side of the mountain; but one morning he happened to pass by her hole, and found her sitting under the shadow of a beautiful kaki tree.
‘Good day,’ he said politely, ‘you have some very fine fruit there! I am very hungry, could you spare me one or two?’
‘Oh, certainly,’ replied the crab, ‘but you must forgive me if I cannot get them for you myself. I am no tree-climber.’
‘Pray do not apologise,’ answered the monkey. ‘Now that I have your permission I can get them myself quite easily.’ And the crab consented to let him go up, merely saying that he must throw her down half the fruit.
In another moment he was swinging himself from branch to branch, eating all the ripest kakis and filling his pockets with the rest, and the poor crab saw to her disgust that the few he threw down to her were either not ripe at all or else quite rotten.
‘You are a shocking rogue,’ she called in a rage; but the monkey took no notice, and went on eating as fast as he could. The crab understood that it was no use her scolding, so she resolved to try what cunning would do.
‘Sir Monkey,’ she said, ‘you are certainly a very good climber, but now that you have eaten so much, I am quite sure you would never be able to turn one of your somersaults.’ The monkey prided himself on turning better somersaults than any of his family, so he instantly went head over heels three times on the bough on which he was sitting, and all the beautiful kakis that he had in his pockets rolled to the ground. Quick as lightning the crab picked them up and carried a quantity of them into her house, but when she came up for another the monkey sprang on her, and treated her so badly that he left her for dead. When he had beaten her till his arm ached he went his way.
It was a lucky thing for the poor crab that she had some friends to come to her help or she certainly would have died then and there. The wasp flew to her, and took her back to bed and looked after her, and then he consulted with a rice-mortar and an egg which had fallen out of a nest near by, and they agreed that when the monkey returned, as he was sure to do, to steal the rest of the fruit, that they would punish him severely for the manner in which he had behaved to the crab. So the mortar climbed up to the beam over the front door, and the egg lay quite still on the ground, while the wasp set down the water-bucket in a corner. Then the crab dug itself a deep hole in the ground, so that not even the tip of her claws might be seen.
Soon after everything was ready the monkey jumped down from his tree, and creeping to the door began a long hypocritical speech, asking pardon for all he had done. He waited for an answer of some sort, but none came. He listened, but all was still; then he peeped, and saw no one; then he went in. He peered about for the crab, but in vain; however, his eyes fell on the egg, which he snatched up and set on the fire. But in a moment the egg had burst into a thousand pieces, and its sharp shell struck him in the face and scratched him horribly. Smarting with pain he ran to the bucket and stooped down to throw some water over his head. As he stretched out his hand up started the wasp and stung him on the nose. The monkey shrieked and ran to the door, but as he passed through down fell the mortar and struck him dead.
After that the crab lived happily for many years, and at length died in peace under her own kaki tree.
From Japanische Mahrchen.
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Il granchio e la scimmia
C’era una volta un granchio femmina che viveva in una buca nel fianco sabbioso di una montagna. Era un’ottima casalinga, così diligente e industriosa che non vi era in tutto il paese una creatura la cui tana fosse così ordinata e pulita come la sua, e ne era molto orgogliosa.
Un giorno vide vicino all’imboccatura della sua buca una manciata di riso cotto che alcuni viandanti dovevano aver lasciato cadere quando si erano fermati a mangiare il loro pasto. Contenta della scoperta, si affrettò sul posto e stava portando il riso nella tana quando una scimmia, che viveva su alcuni alberi lì vicino, scese a vedere che cosa stesse facendo. I suoi occhi brillarono alla vista del riso perché era il suo cibo preferito e da scaltra creatura quale era, propose un affare al granchio. Doveva dargli metà del riso in cambio del nocciolo di un dolce kaki rosso che aveva appena mangiato. In parte si aspettava che il granchio gli ridesse in faccia per quella proposta impudente, ma invece di fare così, lo guardò per un momento con la testa da un lato e poi disse che avrebbe accettato lo scambio. Così la scimmia se ne andò con il riso e il granchio tornò nella tana con il nocciolo.
Per un po’ di tempo il granchio non vide più la scimmia, che era andata a fare una visita sul versante soleggiato della montagna, ma una mattina accadde che passasse vicino al buco del granchio e la trovasse seduta all’ombra di un magnifico albero di kaki.
“Buongiorno,” disse educatamente, “Hai davvero dei bei frutti! Sono molto affamato, ne divideresti uno o due con me?”
“Certamente,” rispose il granchio, “ma devi perdonarmi perché non posso darteli io stessa. Non mi arrampico sugli alberi.”
“Ti prego di non scusarti.” rispose la scimmia “Adesso che ho il tuo permesso, li prenderò facilmente da me.” e il granchio acconsentì a lasciarlo salire, dicendogli semplicemente che avrebbe dovuto gettarle giù metà del frutto.
Poco dopo la scimmia stava dondolando di ramo in ramo, mangiando tutti i kaki più maturi e riempiendosi le tasche con gli altri; il povero granchio vide con indignazione che i pochi che le gettava non erano maturi o erano completamente guasti.
“Sei un infame mascalzone.” gli gridò incollerita, ma la scimmia faceva finta di niente e continuava a mangiare più in fretta che poteva. Il granchio comprese che sarebbe stato inutile rimproverarlo, così decise di provare ad agire con furbizia.
“Messer Scimmia,” disse “sei di certo bravo ad arrampicarti, ma adesso che hai mangiato tanto sono certa che non saresti mai capace di fare una delle tue capriole.” La scimmia si vantava di saper fare le capriole meglio di chiunque altro nella propria famiglia, così all’istante si mise a testa in giù per tre volte sul ramo sul quale era seduto e tutti i meravigliosi kaki che aveva nelle tasche rotolarono a terra.
Svelta come un fulmine il granchio li raccolse e ne portò una gran quantità in casa, ma quando tornò fuori per prenderne altri, la scimmia le saltò addosso e la maltrattò tanto da lasciarla come morta. Quando l’ebbe picchiata finché le braccia gli dolsero le braccia, se ne andò.
Fu una fortuna per il povero granchio che avesse alcuni amici che vennero ad aiutarla altrimenti sarebbe morta all’istante. La vespa volò da lei, la portò a letto e la accudì poi si consultò con un mortaio da riso e un uovo che era caduto da un nido vicino e concordarono che quando la scimmia fosse tornata, cosa che di certo avrebbe fatto per rubare il resto della frutta, l’avrebbero punito severamente per il modo in cui aveva maltrattato il granchio. Così il mortaio si arrampicò sulla trave sopra la porta e l’uovo stette immobile a terra mentre la vespa posava il secchio dell’acqua in un angolo. Poi il granchio si scavò una profonda buca nel terreno così che non si potesse vedere nemmeno la punta delle sue chele.
Appena tutto fu pronto la scimmia saltò giù dall’albero e sgusciò fino alla porta cominciando un lungo e ipocrita discorso con il quale chiedeva perdono per tutto ciò che aveva fatto. Attese una risposta di qualsiasi tipo, ma non ne venne nessuna. Ascoltò, ma tutto era silenzioso; allora sbirciò, ma non vide nessuno così entrò. Guardò attentamente in cerca del granchio, ma invano; in ogni modo il suo sguardo cadde sull’uovo, che afferrò e mise sul fuoco. In un istante l’uovo esplose in mille pezzi e i frammenti taglienti del guscio lo colpirono sul muso e lo graffiarono orribilmente. Bruciando di dolore, la scimmia corse verso il secchio e si chinò per versarsi un po’ d’acqua sulla testa. Come allungò le mani, saltò fuori la vespa che lo punse sul naso. La scimmia strillò e corse alla porta, ma mentre passava sotto, il mortaio cadde e lo colpì a morte.
Dopo tutto ciò il granchio visse felice per molti anni e alla fine morì in pace sotto il suo albero di kaki.
Favola giapponese.
(traduzione dall'inglese di Annarita Verzola)
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